L’instabilità democratica I consigli inascoltati del The Guardian Nella vita politica come nella vita di tutti i giorni del resto, vengono compiuti errori formidabili. Convinti di aver fatto la cosa giusta, nemmeno l’evidenza riesce ad aprire gli occhi agli sfortunati che si sono disgraziatamente infilati in un cunicolo senza uscita con le loro stesse gambe. In Italia diamo per scontato con un beato ottimismo da più di vent’anni, che il rimedio per tutti i mali è il bipolarismo maggioritario. “O di qua o di là”, i governi vengano scelti dal popolo e si voti il presidente del consiglio. Solo i grandi partiti avrebbero potuto risolverci i problemi, una volta liberati da quelli minori, e magari persino la corruzione sarebbe stata abbattuta di colpo. Eppure questa presunta democrazia dell’alternanza ha consentito un fenomeno trasformistico dilagante, e a metà di ogni legislatura dal 1994, salvo l’incredibile stagione 2001- 2006, ci si rivolgeva a pezzi dell’opposizione per far star in piedi il governo e dal 2011, nonostante il nome del capo dell’esecutivo sulla scheda, abbiamo premier che nemmeno si sono presentati alle elezioni e per di più sono sostenuti da coalizione comprendenti forze opposte fra loro. Tanto valeva tenersi il sistema proporzionale dove i partiti avevano le mani libere, indicavano i loro programmi e decidevano come comportarsi in Parlamento. Almeno gli elettori non credevano di scegliere forze alternative ed incompatibili. Invece di porsi la domanda, se mai ci fosse qualcosa di sbagliato nell’impostazione assunta per tutto questo tempo, anche alla luce degli scarsi risultati ottenuti, si è sicuri di poter andare avanti irrigidendo persino quel bipolarismo che si smentisce quotidianamente nei fatti. Che senso avrebbe per Alfano trovarsi alleato di Salvini, o per Renzi, Vendola, quando Alfano e Renzi hanno collaborato in quello stesso governo che Salvini e Vendola avversano? Mistero. Lo stesso Berlusconi avrebbe ragione di porsi qualche domanda a proposito, visto il sostegno indiretto al premier quando non riesce nemmeno ad accettare l’ipotesi di un successore alla guida del suo stesso partito. Possiamo escludere che la nostra opinione pubblica, oramai acriticamente assuefatta, si accorga di tutto questo. Fortunatamente in Inghilterra qualcuno ancora ragiona. Gavin Kelly questa settimana sul The Guardian ha scritto che "alle prossime elezioni di maggio appare sempre più probabile un risultato non in linea con la tradizione inglese del bipolarismo”. In Gran Bretagna il contesto politico con Farage è diventato multipartitico, di conseguenza, “la legge elettorale attuale non interpreta adeguatamente le sensibilità e le rappresentatività politico-sociali inglesi; anzi rischia di essere motivo di instabilità democratica”. In Italia nonostante la consueta retorica bipolaristica, se non bipartitica, è da sempre così eppure ancora ci rifiutiamo di ammetterlo. Roma, 16 gennaio 2015 |